La responsabilità penale del medico

1) Profili generali sulla responsabilità

Prima di entrare nel dettaglio delle innovazioni in materia di responsabilità penale introdotte dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), è opportuno fare un breve excursus sul concetto di responsabilità penale in generale, a partire dalla sua genesi qual è delineata dagli artt. 42 e 43 c.p..

Diciamo subito che le categorie del dolo e della preterintenzione (che altro non è che un dolo “maldiretto”), ancorché astrattamente ipotizzabili, appaiono eccentriche rispetto alle condotte illecite dei sanitari, nel senso che la scelta intenzionale di porre in essere un atto di malpractice da parte di un operatore sanitario esula dall’essenza della responsabilità medica, che discende e si materializza nell’errore, avendo per contro i connotati della responsabilità penale ordinaria: se l’urologo si trova sotto i ferri il violentatore della figlia e decide di “sbagliare” l’intervento di riduzione della stenosi uretrale per causargli la disfunzione erettile, non commette un atto di malpractice sanitaria, ma un ordinario reato di lesioni volontarie aggravate (art. 582 c.p.).

In tema di responsabilità medica, dunque, l’attenzione va concentrata sulla categoria della colpa, in particolare sulla colpa generica e le tre espressioni in cui si manifesta: negligenza, imprudenza, imperizia, intendendosi per:

  • negligenza, la condotta omissiva (per pigrizia, noncuranza) laddove occorreva un’attività positiva (es. mancato controllo campo operatorio alla fine dell’intervento e garza che resta nello stomaco);
  • imprudenza, la condotta commissiva (per avventatezza, temerarietà) posta in essere laddove non occorreva alcuna attività o un’attività diversa (es. il medico o l’infermiere del P.S. che, ad un paziente affetto da una distorsione all’arto, invece di un semplice bendaggio applica una doccia gessata);
  • imperizia, l’imprudenza o negligenza “qualificate”, riferentesi cioè ad attività che richiedono speciali conoscenze tecniche (es. un infermiere del P.S. che qualifica come bianco un codice rosso).

2) Disciplina penale nella legge Gelli-Bianco

Innanzitutto, una precisazione d’insieme: la L. 8 marzo 2017, n. 24 si riferisce testualmente agli “esercenti la professione sanitaria”, dunque non sono ai medici ma a tutti gli operatori sanitari (radiologi, fisioterapisti, infermieri, ecc.).

Esiste anche una sorta di “interpretazione autentica” in proposito: il relatore del disegno di legge (Gelli), intervistato dalla redazione del sito Nurse 24, ha dichiarato: “un punto di forza di questa legge è che non abbiamo mai voluto citare il termine medico; abbiamo invece parlato di esercenti la professione sanitaria, perché riguarda tutti quelli che, a vario titolo e grado, eseguono prestazioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, ecc”.

Venendo alla sostanza del testo, dalla lettura dei lavori parlamentari si arguisce che la L. 24/2017 aveva ed ha, sostanzialmente, due obiettivi:

  1. allargare la fascia di tutela penale degli operatori sanitari;
  2. garantire il risarcimento ai pazienti danneggiati e, nel contempo, una copertura assicurativa completa agli operatori sanitari individuali.

Se il secondo obiettivo appare alla portata con l’inserimento degli articoli da 7 a 14 che, rispettivamente:

  • art. 7, stabilisce d’imperio quale sia la natura della responsabilità in capo alla struttura sanitaria (contrattuale) ed in capo al singolo operatore (extracontrattuale), con i conseguenti riflessi in tema di onere della prova;
  • art. 8, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione ante causam;
  • art. 9, delinea le modalità e condizioni delle eventuali azioni di rivalsa delle strutture verso gli operatori;
  • art. 10, impone l’obbligo assicurativo a strutture ed operatori;
  • art. 11, stabilisce che la garanzia assicurativa debba avere un’estensione decennale ante e post polizza;
  • art. 12, introduce la facoltà per il danneggiato dell’azione diretta contro l’assicurazione della struttura;
  • art. 13, stabilisce l’obbligo a carico di strutture e relative assicurazioni di comunicare all’operatore sanitario interessato l’inizio della causa o delle eventuali trattative stragiudiziali;
  • art. 14, istituisce un fondo di garanzia per i danni ultramassimale;

così non può dirsi per il primo, quello afferente l’ambito della responsabilità penale del sanitario.

Già da una prima lettura, la norma elaborata in proposito (art. 590-sexies c.p.) appare densa di incognite. Se, poi, la si confronta con l’omologa espressamente abrogata (art. 3 D.L. 13 settembre 2012, n. 158, c.d. decreto Balduzzi), le perplessità aumentano.

Partiamo dalla fine.

L’ultimo comma dell’art. 6 legge Gelli-Bianco dispone l’abrogazione dell’art. 3, c. 1 del Decreto Balduzzi.

Orbene, dato che il decreto Balduzzi prevedeva per il sanitario una franchigia nel caso di colpa lieve qualunque fosse la natura di essa, mentre la legge Gelli-Bianco prevede una franchigia anche per colpa grave purché riferita alla sola categoria dell’imperizia, è evidente che siamo di fronte ad un’ipotesi di successione nel tempo di leggi penali sostanziali, sicché, nonostante l’abrogazione, la prima conclusione da trarre è che l’art. 3, c. 1 del decreto Balduzzi non sparisce dall’ordinamento, ma resta affiancato all’art. 590-sexies c.p.. La seconda è che all’operatore sanitario andrà applicata la normativa in concreto più favorevole tra quella vigente al momento della consumazione del reato e quella sopravvenuta.

In altri termini, assunta come spartiacque la data dell’ 1 aprile 2017 (entrata in vigore della legge Gelli-Bianco), si avrà che:

  • per i reati consumati ante, si applicherà la norma che risulterà più favorevole tra il decreto Balduzzi e la legge Gelli-Bianco;
  • per i reati consumati post, si applicherà la legge Gelli-Bianco.

Venendo al succo della nuova normativa, vediamo, innanzitutto, quali condizioni devono sussistere perché il sanitario vada esente da colpa:

  • rispetto delle linee guida ufficiali o, in mancanza di esse, delle buone pratiche mediche;
  • adeguatezza dei predetti protocolli al caso concreto;
  • errore dovuto ad imperizia.

A parte che, prima facie, risulta difficile comprendere come un medico possa essere allo stesso tempo rispettoso delle linee guida ed imperito, occorre rilevare che quanto pretende la norma non è poca cosa, specie riguardo alla verifica di adeguatezza caso per caso che, com’è intuibile, lascia aperta la porta all’opinabilità delle scelte effettuate, con la conseguenza che, mentre non si discostano dal minimo le guarentigie per il sanitario, rimane massimo il potere discrezionale del giudice.

A parte questa considerazione d’ordine generale, c’è da registrare il radicale contrasto di giurisprudenza che si è formato circa l’ambito di applicazione della legge.

A fronte di due tesi, esattamente opposte, formatesi all’interno della stessa Corte (sentenza De Luca-Tarabori n. 28187/2017 e sentenza Cavazza n. 50078/2017), la Cassazione è dovuta intervenire in seduta plenaria ed ha stravolto completamente la norma. Ha riesumato il concetto di “colpa lieve” e il discrimine della speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c., stabilendo quali siano casi esclusi dalla tutela dell’art. 590-sexies c.p.:

  1. se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
  2. se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
  3. se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
  4. se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico;

e, quindi, per sottrazione, qual è la solitaria fattispecie da ritenersi inclusa, così delineabile:

  • se l’evento si è verificato per colpa (lieve) da imperizia, nell’esecuzione di linee guida scelte correttamente, adeguate al caso concreto, in intervento di speciale difficoltà.

Con la predetta decisione, la Suprema Corte, al di là di un’evanescente concessione, ha in pratica azzerato gli intenti della legge Gelli-Bianco circa le guarentigie penali da fornire al personale sanitario, reintroducendo di fatto il primato della discrezionalità del giudicante su ogni risvolto della materia.

3) Aspetti di natura processuale

Di particolare rilievo nella fase processuale è il rapporto medico-difensore, rapporto cui il difensore deve prestare particolare attenzione e cura, stante la acuita sensibilità dei sanitari verso azioni penali ormai sistematiche e percepite come ingiuste forme di pressione a fini risarcitori.

L’unica vera novità apportata dalla legge Gelli-Bianco in materia processuale è delineata nell’art. 15, ove si stabilisce che “l’a.g. affida l’espletamento della consulenza tecnica (P.M.) e della perizia (Giudice) ad un medico specializzato in medicina legale e ad uno o più specialisti con specifica e pratica conoscenza del caso concreto”.

Orbene, poiché la maggior parte dei procedimenti penali in tema di malpractice sanitaria si risolve con gli accertamenti peritali, deve il difensore prestare massima attenzione a questa fase, curando di:

  • sorvegliare che la nomina dei consulenti (P.M.) e dei periti (Giudice) avvenga secondo i criteri fissati e, se del caso, far verbalizzare eventuali opposizioni o perplessità;
  • considerare l’opportunità, se non la necessità, di nominare consulenti di parte all’altezza del caso;
  • rammentarsi e, in ipotesi, formulare la riserva di cui all’art. 360 c.p.p., tenendo conto del termine di scadenza entro cui chiedere l’incidente probatorio;
  • tenere al corrente l’assistito di ogni sviluppo dell’attività peritale, onde ci sia una presa di coscienza graduale e non traumatica della situazione.

Studio Legale Coden

Per informazioni e appuntamenti

Torna su